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Luigi
Rossi
Oratorio della Settimana Santa
MVC/007-021 DDD
- Diego Cantalupi - Direzione
Testi libretto
- Booklet texts |
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Esecutori Artists
- Nuria Rial- Soprano - Gianluca Buratto - Basso ensemble L’AURA SOAVE Cremona-on authentic instruments - Diego Cantalupi, direttore artistico
Claudia Combs, Elin, Gabrielsson violiniRodney Prada viola da gamba - lirone Paolo Zuccheri violone Davide Pozzi organo Marina Bonetti arpa Diego Cantalupi tiorba
Coro del Friuli Venezia-Giulia Cristiano Dell'Oste Maestro del coro
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Luigi Rossi (1597-1653) Oratorio della Settimana Santa di Diego Cantalupi L’Oratorio per la Settimana Santa appartiene ad un piccolo gruppo di composizioni in stile oratoriale composte su testo volgare e contenute in alcuni codici barberiniani della Biblioteca Vaticana. L’autore del testo è indicato dal manoscritto nella persona di Giulio Cesare Raggioli, Maestro da camera al servizio del Cardinale Barberini. L’attribuzione della musica a Luigi Rossi (Torremaggiore, 1597? – Roma, 1653), avanzata all’incirca cinquant’anni or sono, è stata a volte messa in discussione, ma sembra tuttora la più convincente. La struttura dell’Oratorio per la Settimana Santa rispecchia la struttura consueta dell’oratorio romano di metà Seicento: divisione in due parti, e successione di arie, ariosi, recitativi e parti corali (con un ruolo affatto secondario per il coro) incorniciata da un’introduzione strumentale e un‘madrigale ultimo’ conclusivo dal carattere meditativo e contenete il concetto ‘morale’ espresso dal testo di tutta la rappresentazione. Piuttosto particolare risulta invece essere l’assenza del ‘Testo’ o ‘Storico’, cioè dell’elemento narrativo dell’oratorio (si pensi alla parte al ruolo dell'Evangelista nelle passioni oratoriali bachiane. L’argomento – la crocifissione del Cristo – particolarmente adatto al periodo della Settimana Santa, viene trattato in modo insolito e originale. La prima parte è divisa in due momenti: nel primo la folla chiede a gran voce la grazia per Barabba; Pilato, dopo lunghe esitazioni, accondiscende dichiarando la sua innocenza. Nel secondo momento subentra inaspettatamente un gruppo di Demoni, trionfante per l’imminente fine di Gesù. Quest’esultanza diabolica accompagna la crocifissione all’inizio della seconda parte; da qui il tono cambia bruscamente per fare spazio alle suppliche della Vergine. Quando i Demoni annunciano la morte del Cristo si apre quindi il grande lamento di Maria, intercalato da commenti beffardi dei diavoli. Il coro finale introduce infine una meditazione commossa sul dolore di Maria e la crocifissione. La figura e l'attività di Luigi Rossi si inserisce in quel gruppo di compositori, letterati, pittori, architetti e scultori, che nella Roma di metà Seicento contribuirono a sconvolgere gli schemi del classicismo rinascimentale, conferendo all’arte del loro tempo un inconfondibile connubio tra soggettivismo espressivo e oggettività delle strutture. Grazie al decisivo impulso impresso dai papi e dalle loro potenti famiglie, a partire dai primi anni del secolo Roma aveva gradualmente assunto un ruolo di guida in campo artistico. Sotto il pontificato di Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1623-44), grande cultore delle lettere ed egli stesso autore di numerose poesie in latino e in volgare, Bernini e Borromini lasciarono il loro segno indelebile sul volto di Roma. L'interesse per la musica da parte del pontefice si concretizzava soprattutto nella rappresentazione di melodrammi a Palazzo Barberini, uno dei più sontuosi edifici romani, eretto in quegli anni ad opera degli stessi Bernini e Borromini. Non è un caso che i tratti tipici dei palazzi e delle chiese, con i loro dipinti e sculture, si riflettano in numerosi aspetti della produzione letteraria e musicale dell'epoca: il movimento continuo, il senso della profondità e delle masse, la fluidità tra le varie parti delle strutture, la ricerca di risultati di effetto. L'uso massiccio di espedienti retorici per provocare sorpresa, stupore, meraviglia, la ricerca della qualità sonora della parola, l'occhio attentamente rivolto al mondo dei sensi e agli aspetti del reale percepibili attraverso di essi, sono aspetti caratteristici dei libretti operistici e oratoriali dell’epoca e dello stesso Raggioli (autore del nostro testo), sui quali ebbe indubbiamente un peso decisivo la reazione al petrarchismo cinquecentesco da parte del Marino. Ma se la fastosità e ricerca dell'effetto erano elementi tipici del gusto e dell’estetica del tempo, lo spirito dell’oratorio volgare affondava d’altro canto le sue radici nell’ambiente degli ‘esercizi spirituali’ e nell' humus dell'istituzione oratoriale. Tipico del questo singolare accostamento di compassata devozione e gusto per l’effetto è lo stesso impianto del libretto per l’Oratorio per la Settimana Santa: se la Turba violenta e l’angosciato Pilato, già presenti nelle Passioni medievali, scaturiscono naturalmente dal testo biblico, i Demoni e la Vergine sono chiare aggiunte teatrali. Folle diaboliche facevano già la loro comparsa nelle sacre rappresentazioni quattro-cinquecentesche, ma la loro bieca allegria è piuttosto insolita nei dialoghi morali e spirituali del primo Seicento. Il lamento della Vergine nella seconda parte – «Tormenti non più», momento centrale di tutto l’oratorio, ha radici nei lamenti della Vergine e di Maria Maddalena che si incontrano già nella tradizione medievale delle laude e in seguito in madrigali di fine Cinque– inizio Seicento, e che verso la metà del secolo costituivano ormai un tipo particolare di monodia accompagnata. In questo stesso filone si inscrive il lamento della Maddalena («Lagrime amare») di Domenico Mazzocchi (1592-1665), opportunamente accostato all'oratorio nel presente concerto. Nel brano, ultimo di una raccolta a stampa pubblicata nel 1638 (Dialoghi e sonetti posti in musica), tutti i mezzi che la tecnica del canto metteva a disposizione sono volti a fini espressivi. Una particolarità significativa in questo senso consiste nell’uso sperimentale di particolari effetti microtonali, per indicare i quali il Mazzocchi adoperò segni notazionali creati per l’occasione, riallacciandosi espressamente alla teoria dei generi enarmonici greci. Nell’Oratorio per la Settimana Santa il lamento della Vergine è descritto con toni più composti ma ugualmente drammatici: il dolore e la frustrazione di Maria, acuito dalle urla festose dei Demoni, è reso in modo altamente espressivo dalle dissonanze nelle parti strumentali; e la sezione finale dell’aria è basata su un basso di passacaglia, tipicamente associato, in quest'epoca, al lamento. Altro momento dai toni molto toccanti, pur nella solennità, e quello che ritrae l’angoscia di Pilato di fronte alla sua stessa decisione, nell’arioso «O di colpo mortale» della prima parte. Ancora più eloquente è il ‘madrigale ultimo’ che suggella tutta la composizione («Piangete, occhi piangete»), nel quale gli spunti imitativi, le aspre dissonanze, e l'inserzione di momenti più recitanti, creano un quadro potentemente suggestivo, ma dal tono sobrio ed austero. Note sull’interpretazione di Diego Cantalupi Per la registrazione dell’Oratorio della Settimana Santa ho preparato appositamente un’edizione critica basata non solo sul manoscritto BARB. LAT. 4198, ma su una parte staccata appartenuta ad uno strumento di basso continuo, conservata presso la stessa Biblioteca Vaticana. Ciò ha permesso un’accurata ricostruzione del testo musicale, particolarmente completa riguardo la scelta della numerica del basso continuo e, in numerosi casi, della strumentazione originale. L’utilizzo particolare di alcuni strumenti (lirone ed arpa) e la mancanza totale dall’organico di altri (cembalo e violoncello) viene segnalata nei due manoscritti all’inizio di alcune arie, permettendo in questo modo di ricostruire un’estetica dell’orchestrazione grazie a informazioni raramente reperibili nelle fonti secentesche. Riguardo ai recitativi, ho scelto infine di non raddoppiare mai la linea del basso con uno strumento melodico, ma di affidare l’accompagnamento ad uno più strumenti realizzatori (arpa, tiorba e organo), secondo una prassi esecutiva molto comune, ma ancora oggi per lo più disattesa.
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Luigi Rossi (1597-1653) Oratorio of the Holy Week by Diego Cantalupi The Oratorio of the Holy Week belongs to a small group of compositions in the oratorio style composed on a profane text contained in some of the Vatican Library’s Barberinian codices. The author of the text, as indicated in the manuscript, is Giulio Cesare Raggioli, chamber master in service to Cardinal Barberini. The attributing of the music to Luigi Rossi (Torremaggiore, 1597? – Rome, 1653) for the past fifty years or so has sometimes been questioned but seems the most plausible at this time. The structure of the Oratorio of the Holy Week mirrors that of mid-17th Century customary Roman oratorios: two-part division, succession of arias, ariosos, recitatives and choral parts (with not a secondary role for the choir) framed by an instrumental introduction and a concluding ‘madrigale ultimo’ of a meditative character containing the ‘moral’ concept expressed by the entire work’s text. The absence of the ‘Testo’ or ‘Storico’, the oratorio’s narrative element (the Evangelist’s role in Bach’s oratorio passions comes to mind) stands out by comparison. The subject matter – the crucifixion of Christ – which lends itself well to the Holy Week period, is handled in an original way. The first part is divided into two moments: in the first, the crowd asks that Barabbas be pardoned; after hesitating a long time, Pontius Pilate complies and declares his innocence. In the second moment, a group of demons unexpectedly take over, triumphant in the face of Jesus’ imminent end. This diabolic exultation accompanies the crucifixion at the beginning of the second part; the tone abruptly changes here making room for the Virgin Mary’s pleas. When the demons announce Christ’s death, Mary’s great lament opens, interjected with the devils’ mocking comments. The final chorus introduces a moving meditation on the Virgin Mary’s sorrow and the crucifixion. Luigi Rossi’s persona and activity fall in with that group of composers, scholars, painters, architects and sculptors who, in Rome of the 1600s, would upset the schemes of Renaissance classicism, thus bestowing on art of their time an unmistakable union of expressive subjectivism and objectivity of structure. Beginning with the first years of the century, Rome gradually took on a guiding role in art thanks to a decisive drive on the part of the popes and their powerful families. Under the papacy of Urban VIII (Maffeo Barberini, 1623-44) – great literary adept and himself author of numerous poems in Latin and the vernacular – Bernini and Borromini would leave their indelible mark on the face of Rome. The pope’s interest in music materialized above all in performances of melodramas at the Barberini Palace, one of Rome’s most sumptuous buildings erected in those very years and a work of Bernini and Borromini. It is not by chance that the typical features of the palaces and churches, with their paintings and sculptures, reflect aspects of that epoch’s literary and musical production: continuous movement, the sense of depth and mass, the fluidity between various parts of the structure, the search for spectacular results. The considerable use of rhetorical means to provoke surprise, stupor, awe, the search for sonorous quality of words with an eye carefully cast inward to the world of the senses and aspects of reality perceptible through those senses, characterize opera and oratorio librettos of the epoch as well as those of Raggioli (the author of our text); these aspects were undoubtedly influenced by the Marino’s reaction to Petrarchism of the 1500s. While pageantry and search for affect were typical elements of the taste and aesthetic of the time, the spirit of the profane oratorio was, on the other hand, rooted in ‘esercizi spirituali’ and the humus of the institution of the oratorio. Typical of this singular combination of composed devotion and the taste for affect is the very structure of the Oratorio of the Holy Week’s libretto: while the violent Multitude and the anguished Pontius Pilate, already present in medieval Passion plays, naturally spring from the biblical text, the Demons and Virgins are clear theatrical additions. Diabolical crowds had already appeared in sacred performances of the 15th and 16th centuries, but their grim cheerfulness is rather unusual in moral and spiritual dialogues at the beginning of the 1600s. The Virgin’s lament in the second part – «Tormenti non più», a central moment in the whole oratorio, has its roots in laments of the Virgin Mary and Mary Magdalene of the medieval lauds tradition and, later, in madrigals from the end of the 1500s - beginning of the 1600s, which would become a particular kind of accompanied monody by the middle of the century. In the same vein is Mary Magdalene’s lament («Lagrime amare») by Domenico Mazzocchi (1592-1665), conveniently laid down alongside the oratorio in the present performance. In this piece, the last of a printed collection published in 1638 (Dialoghi e sonetti posti in musica), all means available to vocal technique are employed toward expressive ends. Of significant import in this sense is the experimental use of particular microtonal effects which Mazzocchi indicates using notational signs created for the occasion, thus expressly attaching himself to the theory of Greek enharmonic genus. In the Oratorio of the Holy Week, the Virgin Mary’s lament is depicted in more composed but equally dramatic tones: the sorrow and frustration of Mary, heightened by the playful wails of the Demons, is made highly expressive by dissonances in the instrumental parts; the final section of the aria is based on a passacaglia bass, typically associated with laments of this epoch. Another very moving moment in the first part, if only for its solemnity, portrays Pontius Pilate’s anguish when faced with his own decision in the arioso «O di colpo mortale». Even more eloquent is the ‘madrigale ultimo’ which seals the entire composition («Piangete, occhi piangete») where imitative ideas, bitter dissonances, the insertion of more declamatory moments paint a picture that, while powerfully striking, has a sober and austere quality.
Interpretation notes by Diego Cantalupi For the recording of the Oratorio of the Holy Week, I prepared a critical edition based not only on the BARB. LAT. 4198 manuscript but also on a separate continuo instrument part preserved in the Vatican Library. This enabled a careful reconstruction of the musical text, particularly complete with respect to the numerical choices of the figured bass and, in many cases, the original instrumentation. The particular use of some instruments (lirone and harp) and the total absence of others (harpsichord and cello) are indicated in the two manuscripts at the beginning of some arias, allowing an aesthetic reconstruction of the orchestration thanks to information seldom available from 17th century sources. With respect to the recitatives, I chose in the end never to double the bass line with a melodic instrument but to entrust the accompaniment to one or more continuo instrument (harp, theorbo and organ) according to a very common performance practice largely disregarded today.
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